Con sentenza del 16 gennaio 2018, la Corte di appello di L’Aquila rideterminava la pena alla quale Tizio era stato condannato per il reato di cui all’art. 640 comma 2 n.1) cod.pen., confermando nel resto la sentenza di primo grado, che aveva anche ritenuto responsabile la società XXX dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 24 D.L.vo n.231/01; secondo il capo di imputazione, la società XXX aveva utilizzato 22 lavoratori distaccati formalmente dipendenti della YYY di cui TIZIO era amministratore unico; la YYYY, società che costituiva una “scatola vuota” aveva omesso di versare i contributi previsti, e la XXX, società che aveva impiegato i lavoratori, era così riuscita ad aumentare l’organico aziendale senza ulteriori costi aggiuntivi di tipo previdenziale e fiscale, sottraendo in tal modo agli enti previdenziali creditori garanzie idonee per la effettiva solvibilità dei debiti contributivi, per cui era stata indotta in errore INPS, con conseguente ingiusto profitto in carico ai ricorrenti consistito nell’esonerare la XXX da responsabilità solidale nel caso di mancato pagamento di oneri e contributi previdenziali a carico della YYY e nel risparmio di spesa che quest’ultima aveva ottenuto attraverso la sua precostituita insolvibilità.
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto da Tizio e dalla Società XXX, puntualizza che il profitto del reato di truffa consiste nel risparmio contributivo e previdenziale che l’imputato ha conseguito tramite il fittizio distacco facendo figurare, contrariamente al vero, che i lavoratori fossero in distacco presso la società XXX dalla YYY, (senza che avessero maturato un solo giorno di lavoro presso la YYY, che li aveva formalmente assunti ,e continuando a lavorare in favore della XXX anche dopo la scadenza del distacco), che non aveva attrezzatura o beni in quanto unica sua attività era quella di avere stipulato gli accordi di distacco, ed avendo costituito YYY solo quale “scatola vuota”, non in grado di adempiere gli oneri previdenziali e fiscali.
Infine, la Corte sottolinea che “la finalità della fittizia interposizione è proprio quella di procurarsi un ingiusto profitto (con corrispondente danno per gli enti previdenziali) consistente nel risparmio contributivo”.